mercoledì 18 novembre 2009

Nuovo materiale su HyperTv

Per le lezioni di venerdì e sabato sarebbe importante caricare materiale (video, testo e immagini) su HyperTv nella documentation library. I materiali potrebbero riguardare il ventennale della caduta del muro di Berlino o altro.

Paolo Liguori

lunedì 9 novembre 2009

The Berlin Wall

9 novembre 1989: crolla il muro di Berlino. Un muro che ha dilaniato menti e cuori, diviso un popolo e spaccato in due la capitale tedesca.

Il 9 novembre 1989 la TV trasmetteva in diretta scene di insolita euforia. Gli occhi di una bambina di tre anni, i miei osservavano distrattamente quelle immagini. La mamma cercava di spiegarle che quello che vedeva in TV era un evento storico: era caduto un muro! (Alessia Strinati). Il Berliner Mauer è stato oggetto di fraintendimenti e confusione sin dal suo concepimento. Basti pensare alla dichiarazione lasciata il 15 giugno 1961 dal Presidente del Consiglio di Stato della RDT (Repubblica Democratica Tedesca) Walter Ulbricht, “nessuno ha intenzione di costruire un muro”. Per tutta risposta, all’alba del 13 agosto, neanche due mesi dopo, vennero eretti sbarramenti provvisori ai confini dei settori tra Berlino Est e Berlino Ovest.
Nello stesso clima d’incertezza è stata partorita la decisione dell’abbattimento del muro. Günter Schabowski, responsabile a Berlino della SED (Partito Socialista Unificato di Germania), la sera del 9 novembre 1989 fu incaricato di informare i mezzi stampa sulle riforme ai permessi di attraversamento del varco (Federica Binanti). Il corso della storia, tuttavia, cambiò nella metà degli anni Ottanta quando Michail Gorbaciov salì al potere. Gorbaciov tentò di superare le tensioni militari con gli Stati Uniti, certo non vi riuscì come avrebbe voluto ma grazie a lui caddero i regimi comunisti e avvenne l’unificazione tedesca. Se quel 9 novembre il muro di Berlino non fosse caduto non solo non si sarebbe riunificata la Germania ma non si sarebbe creata l’Unione Europea, non pagheremmo in euro, avremmo frontiere, dogane, confini pronti a frantumare l’identità di un continente non unanime ma ricco di popoli che hanno una radice comune e una prospettiva futura basata sull’alleanza e la cooperazione. 20 anni dopo si può guardare il presente e sperare nel futuro dell’Europa solo grazie a quel 9 novembre 1989 (Annalisa Fantilli). Per 28 lunghi anni l’epicentro del vecchio continente è stato spezzato da questo muro che ha costretto intere famiglie a separarsi apparentemente per sempre, con la convizione che se solo avrebbero provato a scavalcarlo, sarebbero rimasti uccisi. Nessuno si aspettava che quel regime in Germania potesse crollare, nessuno sperava più di vedere la nazione unita. E invece quel muro è crollato e, dopo tanto tempo , ci si è sentiti nuovamente parte di un solo popolo. Si era di nuovo tutti cittadini di Berlino (Sara Aquilani e Elisa Spadaro). 50.000 persone varcarono il muro da est verso ovest, accolti dall’abbraccio fraterno di una città in festa. “Liberi siamo finalmente liberi”, questi erano i cori e i titoli delle testate giornalistiche di tutto il mondo, che segnavano la svolta, l’evoluzione politica mondiale e la coesistenza pacifica tra i popoli (Priscilla Darbisi). Sono trascorsi vent’anni da quel giorno, quello che lo stesso cancelliere Merkel ha definito “il giorno più felice della recente storia tedesca” e Berlino è ansiosa di commemorarlo (Federica Binanti). I festeggiamenti sono giunti all’apice con l’ avvio di un lungo domino che ha fatto crollare un simbolico muro, fatto di pannelli alti due metri e dipinti da artisti e bambini di tutto il mondo. Uno spettacolare effetto di luci e colori per oltre un chilometro e mezzo, là dove correva il filo spinato che divideva non solo Berlino ma l’intera Germania (Elisabetta Brenci) In tutto il mondo manifestazioni, mostre, spettacoli, concerti per festeggiare la LIBERTA’ un diritto di tutti, che, ancora, in alcune realtà sembra essere un privilegio (MariaTeresa Scionti) Torino ha organizzato una mostra fotografica sul muro di Berlino allestendo una mostra alla biblioteca Shaharazade dal 9 novembre al 6 dicembre dal titolo “Il Muro protezione o privazione” racconta la visione che differenti artisti, fotografi e dilettanti, italiani ed internazionali, hanno del muro. Nel corso del 2009 è stata realizzata anche un’iniziativa per ricordare li eventi passati del 1989, grazie ad una pubblicazione in inglese edita dall’ Ente Nazionale Germanico per il Turismo e intitolata: “ Welcome to the country without borders” (Paola Gallo). Le edicole sono invase da supplementi e pubblicazioni dedicate al ventennale della caduta del muro, i giornali e le TV pullulano di testimonianze personali sul ”mio 9 novembre” questi sono i segni più evidenti della festa che Berlino, tutta la Germania e l’intera Europa si apprestano a vivere a 20 anni dagli avvenimenti che sancirono la riunificazione dell’Europa (Federica Lupinu). In questo clima di festa, proprio a Berlino, il 5 novembre 2009 gli U2 hanno organizzato un concerto gratuito per celebrare il ventesimo anniversario dalla caduta del muro di Berlino. L’evento si terrà in contemporanea con gli MTV Music Awards, in programma quella sera nella capitale tedesca (Sara Aquilani). In aggiunta Maria Vittoria Pinto ha voluto riportare un’intervista fatta a Róża Thun, ex dissidente e militante in Solidarnosc ai tempi della caduta dei regimi comunisti. La caduta del Muro di Berlino, a suo vedere è un evento simbolico di straordinaria importanza, ma squisitamente tedesco. ″Ciò che ha davvero trasformato l’Europa è che noi, tutti insieme, siamo riusciti a smantellare la Cortina di ferro. Le parole ‘caduta’, ‘collasso’…hanno una connotazione passiva, come se noi fossimo stati lì a guardare. Non è caduto niente da solo, la Cortina l’abbiamo tirata giù noi con sforzi enormi, coraggio e una grande visione politica dai tutti e due i lati″. Il giubilo del popolo tedesco è una testimonianza di una nuova era, non priva di difficoltà, ma che comincia con una consapevolezza nuova: la libertà è stata portata laddove ha regnato indiscriminatamente un terribile regime dal 1917, come osserva Alessio Perigli.

«Ci sono molte persone al mondo che non comprendono, o non sanno, quale sia il grande problema tra il mondo libero e il mondo comunista. Fateli venire a Berlino! Ci sono alcuni che dicono che il comunismo è l’onda del futuro. Fateli venire a Berlino!». J. Kennedy (Claudia Nardi)

«Non è facile gettare il nostro cuore oltre quel maledetto muro. Ma un giorno, mano nella mano, lo oltrepasseremo» Pink Floyd (Federica Lupinu)

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mercoledì 4 novembre 2009

Barack Obama, one year later

4 Novembre 2008. L’America conosce il suo nuovo Presidente. Magnetico, dal colloquio travolgente, per la prima volta afroamericano.

Barack Obama è l’uomo del cambiamento pronto a guidare gli Stati Uniti verso un New Deal (Rosaria Sirianni). Da quel momento in poi, Obama ha cercato di percorrere un sentiero spinoso e complicato: il sentiero della pace (Domenico Armatore). A un anno di distanza da quella storica data, ci si interroga, però, sulle promesse fatte e su quelle realmente mantenute, sui risultati concreti ai quali quel “yes we can!” ha portato, o meno. È ovunque tangibile, infatti, un generale calo dei consensi, che serpeggia in Rete, servendosi proprio di quei canali attraverso i quali Obama ha portato avanti tutta la sua campagna elettorale. Perché questo? Secondo Alessio Perigli, ci sono almeno tre motivazioni: 1) il calo fisiologico del consenso dei leader politici in un sistema democratico, causato dal desiderio di cambiamento insito nella natura umana; 2) il rapporto instaurato con i grandi mezzi di comunicazione di massa e l’effetto boomerang causato dall’impossibilità di mantenere buoni rapporti con tutti i giornali e tutte le tv; 3) la percezione banale, da parte di una certa sinistra europea, che ha voluto vedere in Obama un’immagine utopica di presidente. Ora, non solo i media gli si rivoltano contro, ma lo definiscono addirittura “nemico mediatico numero uno”, come osserva Claudia Nardi. Impossibile non citare il caso della rete Fox News di Rupert Murdoch. Dopo la decisione, da parte di Obama, di esporre in prima serata le proprie proposte presso tutte le reti nazionali, escludendo solo Fox News, la tv, dichiaratamente ostile alla sua linea politica (Annalisa Fantilli e Alessia Strinati), si dichiara soddisfatta delle critiche mosse contro il Presidente in quanto ciò farebbe impennare gli ascolti. L’amministrazione Obama, ha sottolineato Murdoch, è percepita dal pubblico come “contraria al business”. “Non dico abbiano ragione – spiega – ma il sentimento prevalente è questo e penso che in ogni caso ciò danneggerà l’economia” (Sara Aquilani). I sondaggi testimoniano che una netta maggioranza di americani ancora approva l’operato del Presidente ma cresce vertiginosamente il numero dei “delusi” (Priscilla Darbisi). In un sondaggio Gallup, uno dei più influenti in America, Hilary Clinton ha superato in popolarità Barack Obama. Tra i democratici i consensi a favore della segretaria di Stato sono saliti al 64% contro il 56% dell’attuale Presidente. Clamoroso il rovesciamento, specie perché a gennaio l’indice di gradimento vedeva Obama spadroneggiare con il 78%, mentre la Clinton si aggirava attorno al 50%. Non è un caso, anche perché il calo del Presidente ultimamente coincide con l’aumento di popolarità della first lady, Michelle Obama (Luca La Gamma). Sicuramente, prima di Michelle, nessuna first lady era riuscita a catalizzare così tanta attenzione su di sé, grazie non solo al suo indiscutibile fascino e alla sua bellezza, ma soprattutto ai suoi impegni sociali. L’ultimo, a sostegno del cibo sano, l’ha vista protagonista di numerosi scatti che hanno fatto il giro del Mondo: la first lady che coltiva l’orto o che fa l’hula-op nel giardino della Casa Bianca è stata davvero una novità per molti (Manlio Grossi). Perfino Obama stesso, su People Magazine, l’aveva definita “la migliore Hula-Hooper”. Carismatica e forte, vuole svolgere “una funzione sostanziosa” che rifletta le sue passioni, come dichiara sul Washington Post. Dall’istruzione infantile, all’assistenza sanitaria, dagli aiuti alle famiglie bisognose, a quelle dei militari in testa. Il suo obiettivo prioritario è, però l’integrazione razziale e lo perseguirà rivolgendosi soprattutto agli adolescenti neri e bianchi (Elisabetta Brenci). Tra le principali critiche mosse ad Obama, Andrea Paoletti individua: l’aver elargito finanziamenti alle grandi industrie automobilistiche, aver evitato di incontrare il Dalai Lama per non compromettere i rapporti con la fondamentale Repebblica Popolare Cinese, ma soprattutto il fatto che continui a tenere aperti due conflitti in terra straniera (la definizione di missione di pace non regge più) e ad inviarci ancora truppe. Federica Binanti, invece, tira in ballo la questione del carcere di Guantanamo. Lo scorso 21 gennaio, al suo secondo giorno alla Casa Bianca, Obama firma gli ordini esecutivi per la chiusura del carcere e promette che, entro un anno, la base militare di Cuba sarà evacuata. L’avvicinarsi di questa scadenza riaccende l’interesse sulla situazione attuale dell’ordine che, con somma delusione di molti – per primi gli stessi 225 detenuti che chiedono giustizia ormai da troppo tempo – sembra essere incappato in nodi burocratici alquanto spinosi. Il futuro della presidenza si prospetta ancor meno roseo se si considera che la delusione per questa promessa non ancora mantenuta si aggiunge al malcontento che la gestione della riforma sanitaria statunitense sta generando fra i sostenitori del presidente. Al di là di tutto, però, non si può non citare l’uscita dell’ottava classifica mondiale di Reporter Sans Frontieres, l’organizzazione nazionale che analizza le libertà di stampa concesse all’interno dei diversi Paesi. Novità di grande importanza emersa è il balzo di venti posizioni compiuto dagli Stati Uniti d’America galvanizzata dall’“effetto Obama”. Per quanto riguarda, poi, il lavoro di comunicazione svolto in Iraq e in Afghanistan, l’America guadagna il 108° posto all’interno della classifica extraterritoriale (Ilaria Milella). E come dimenticare il premio Nobel per la Pace 2009 che Obama ha ricevuto ”per i suoi sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”?. Come osserva Maria Vittoria Pinto, raramente qualcuno ha dato come lui speranza per un futuro migliore. Speranza della quale si direbbe esserci un incredibile bisogno in tutto il mondo. Instaurare una relazione comunicativa forte con le persone attraverso valori, emozioni, coinvolgimento, buon senso, è stata una mossa vincente che ha portato alla vittoria finale in un Paese dai mille volti come l’America (Domenico Sisti). Un outsider, ma un grande oratore: innovativo, colorato, ipnotico, che subito diventa icona di un sentimento antipolitico, incarnando il desiderio di cambiamento progressista, diffuso negli USA (Francesco Caselli). C’è stato anche chi ha analizzato il linguaggio di Obama. È stato, infatti, realizzato un software, Wordle, che ha calcolato, dopo aver registrato i discorsi pubblici dell’ex senatore di Chicago, le parole da lui più utilizzate in pubblico, che sono risultate essere sette: “Promise”, “America”, “American”, “McCain”, “New”, “One”, “Can”, “Work” (Gabriele Aluigi). La parola d’ordine? Collaborare, attraverso il dialogo e la negoziazione. Un vero “change” nella politica americana, che vede coinvolte istituzioni, polizia, sicurezza in un rapporto di fiducia con lo Stato, verso un sistema liberale di integrazione e democrazia a livello internazionale (Mariateresa Scionti).

“Yes, Obama can…maybe!” (Claudia Nardi)

"Yes, He…. Vedremo" (Francesco Caselli)

Forse è ancora troppo presto per parlare.

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