mercoledì 4 novembre 2009

Barack Obama, one year later

4 Novembre 2008. L’America conosce il suo nuovo Presidente. Magnetico, dal colloquio travolgente, per la prima volta afroamericano.

Barack Obama è l’uomo del cambiamento pronto a guidare gli Stati Uniti verso un New Deal (Rosaria Sirianni). Da quel momento in poi, Obama ha cercato di percorrere un sentiero spinoso e complicato: il sentiero della pace (Domenico Armatore). A un anno di distanza da quella storica data, ci si interroga, però, sulle promesse fatte e su quelle realmente mantenute, sui risultati concreti ai quali quel “yes we can!” ha portato, o meno. È ovunque tangibile, infatti, un generale calo dei consensi, che serpeggia in Rete, servendosi proprio di quei canali attraverso i quali Obama ha portato avanti tutta la sua campagna elettorale. Perché questo? Secondo Alessio Perigli, ci sono almeno tre motivazioni: 1) il calo fisiologico del consenso dei leader politici in un sistema democratico, causato dal desiderio di cambiamento insito nella natura umana; 2) il rapporto instaurato con i grandi mezzi di comunicazione di massa e l’effetto boomerang causato dall’impossibilità di mantenere buoni rapporti con tutti i giornali e tutte le tv; 3) la percezione banale, da parte di una certa sinistra europea, che ha voluto vedere in Obama un’immagine utopica di presidente. Ora, non solo i media gli si rivoltano contro, ma lo definiscono addirittura “nemico mediatico numero uno”, come osserva Claudia Nardi. Impossibile non citare il caso della rete Fox News di Rupert Murdoch. Dopo la decisione, da parte di Obama, di esporre in prima serata le proprie proposte presso tutte le reti nazionali, escludendo solo Fox News, la tv, dichiaratamente ostile alla sua linea politica (Annalisa Fantilli e Alessia Strinati), si dichiara soddisfatta delle critiche mosse contro il Presidente in quanto ciò farebbe impennare gli ascolti. L’amministrazione Obama, ha sottolineato Murdoch, è percepita dal pubblico come “contraria al business”. “Non dico abbiano ragione – spiega – ma il sentimento prevalente è questo e penso che in ogni caso ciò danneggerà l’economia” (Sara Aquilani). I sondaggi testimoniano che una netta maggioranza di americani ancora approva l’operato del Presidente ma cresce vertiginosamente il numero dei “delusi” (Priscilla Darbisi). In un sondaggio Gallup, uno dei più influenti in America, Hilary Clinton ha superato in popolarità Barack Obama. Tra i democratici i consensi a favore della segretaria di Stato sono saliti al 64% contro il 56% dell’attuale Presidente. Clamoroso il rovesciamento, specie perché a gennaio l’indice di gradimento vedeva Obama spadroneggiare con il 78%, mentre la Clinton si aggirava attorno al 50%. Non è un caso, anche perché il calo del Presidente ultimamente coincide con l’aumento di popolarità della first lady, Michelle Obama (Luca La Gamma). Sicuramente, prima di Michelle, nessuna first lady era riuscita a catalizzare così tanta attenzione su di sé, grazie non solo al suo indiscutibile fascino e alla sua bellezza, ma soprattutto ai suoi impegni sociali. L’ultimo, a sostegno del cibo sano, l’ha vista protagonista di numerosi scatti che hanno fatto il giro del Mondo: la first lady che coltiva l’orto o che fa l’hula-op nel giardino della Casa Bianca è stata davvero una novità per molti (Manlio Grossi). Perfino Obama stesso, su People Magazine, l’aveva definita “la migliore Hula-Hooper”. Carismatica e forte, vuole svolgere “una funzione sostanziosa” che rifletta le sue passioni, come dichiara sul Washington Post. Dall’istruzione infantile, all’assistenza sanitaria, dagli aiuti alle famiglie bisognose, a quelle dei militari in testa. Il suo obiettivo prioritario è, però l’integrazione razziale e lo perseguirà rivolgendosi soprattutto agli adolescenti neri e bianchi (Elisabetta Brenci). Tra le principali critiche mosse ad Obama, Andrea Paoletti individua: l’aver elargito finanziamenti alle grandi industrie automobilistiche, aver evitato di incontrare il Dalai Lama per non compromettere i rapporti con la fondamentale Repebblica Popolare Cinese, ma soprattutto il fatto che continui a tenere aperti due conflitti in terra straniera (la definizione di missione di pace non regge più) e ad inviarci ancora truppe. Federica Binanti, invece, tira in ballo la questione del carcere di Guantanamo. Lo scorso 21 gennaio, al suo secondo giorno alla Casa Bianca, Obama firma gli ordini esecutivi per la chiusura del carcere e promette che, entro un anno, la base militare di Cuba sarà evacuata. L’avvicinarsi di questa scadenza riaccende l’interesse sulla situazione attuale dell’ordine che, con somma delusione di molti – per primi gli stessi 225 detenuti che chiedono giustizia ormai da troppo tempo – sembra essere incappato in nodi burocratici alquanto spinosi. Il futuro della presidenza si prospetta ancor meno roseo se si considera che la delusione per questa promessa non ancora mantenuta si aggiunge al malcontento che la gestione della riforma sanitaria statunitense sta generando fra i sostenitori del presidente. Al di là di tutto, però, non si può non citare l’uscita dell’ottava classifica mondiale di Reporter Sans Frontieres, l’organizzazione nazionale che analizza le libertà di stampa concesse all’interno dei diversi Paesi. Novità di grande importanza emersa è il balzo di venti posizioni compiuto dagli Stati Uniti d’America galvanizzata dall’“effetto Obama”. Per quanto riguarda, poi, il lavoro di comunicazione svolto in Iraq e in Afghanistan, l’America guadagna il 108° posto all’interno della classifica extraterritoriale (Ilaria Milella). E come dimenticare il premio Nobel per la Pace 2009 che Obama ha ricevuto ”per i suoi sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli”?. Come osserva Maria Vittoria Pinto, raramente qualcuno ha dato come lui speranza per un futuro migliore. Speranza della quale si direbbe esserci un incredibile bisogno in tutto il mondo. Instaurare una relazione comunicativa forte con le persone attraverso valori, emozioni, coinvolgimento, buon senso, è stata una mossa vincente che ha portato alla vittoria finale in un Paese dai mille volti come l’America (Domenico Sisti). Un outsider, ma un grande oratore: innovativo, colorato, ipnotico, che subito diventa icona di un sentimento antipolitico, incarnando il desiderio di cambiamento progressista, diffuso negli USA (Francesco Caselli). C’è stato anche chi ha analizzato il linguaggio di Obama. È stato, infatti, realizzato un software, Wordle, che ha calcolato, dopo aver registrato i discorsi pubblici dell’ex senatore di Chicago, le parole da lui più utilizzate in pubblico, che sono risultate essere sette: “Promise”, “America”, “American”, “McCain”, “New”, “One”, “Can”, “Work” (Gabriele Aluigi). La parola d’ordine? Collaborare, attraverso il dialogo e la negoziazione. Un vero “change” nella politica americana, che vede coinvolte istituzioni, polizia, sicurezza in un rapporto di fiducia con lo Stato, verso un sistema liberale di integrazione e democrazia a livello internazionale (Mariateresa Scionti).

“Yes, Obama can…maybe!” (Claudia Nardi)

"Yes, He…. Vedremo" (Francesco Caselli)

Forse è ancora troppo presto per parlare.

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3 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Direi che è venuto fuori proprio un bel risultato! Complimenti!

Claudia Nardi

4 novembre 2009 alle ore 06:05  
Anonymous Anonimo said...

Si si concordo pienamente!!!

Elisabetta Brenci

4 novembre 2009 alle ore 08:14  
Anonymous Anonimo said...

Complimenti Arianna, hai composto un bel "puzzle"!!!

Manlio Grossi

9 novembre 2009 alle ore 09:19  

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